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La tela (ad olio) con il martirio di San Lorenzo, destinata ad un altare della chiesa veneziana dei Crociferi (passata ai gesuiti nel 1657), fu commissionata da Lorenzo Massolo a Tiziano, con ogni probabilità nel 1546-7 poco dopo il suo rientro dal soggiorno romano; realizzata in gran parte nel 1548, essa non era del tutto compiuta alla morte del committente nel 1557. La scena rappresentata è il martirio sulla graticola di San Lorenzo (eponimo del committente), descritto in un testo di Prudenzio che individuava nella passione del santo il momento del passaggio definitivo dal paganesimo al cristianesimo.
La traumatica scena si svolge in una notte illuminata dai bagliori delle diverse fonti di luce: le fiamme che ardono sotto la graticola, le fiaccole accese e il lampo di luce soprannaturale che squarcia il greve cielo nuvoloso. È ambientata in uno spazio ricco di riferimenti all’architettura classica, il cui ricordo era vivo nell’artista appena rientrato da Roma: gli edifici e i colonnati del tempio sulla destra e, a sinistra, la grande ara sormontata dalla scultura di un idolo pagano, identificata come Vesta con in mano la statuetta della Vittoria (Panofsky) e forse allusiva alla virtù della moglie di Massolo, Elisabetta Querini (Sandro Sponza). Anche le figure che compongono nel registro inferiore la scena del martirio rielaborano originalmente modelli antichi (tra cui, per il corpo del martire, il Galata morente della collezione Grimani a Venezia), ma anche le invenzioni “moderne” di Michelangelo e Raffaello. Tuttavia, sia le possenti figure umane, sia le scenografiche prospettive all’antica, sono qui espressivamente animate, ai limiti quasi della deformazione e dell’allucinazione, da un uso drammatico della luce, fatto di contrasti netti e violenti. Quest’ardite sperimentazioni illuministiche saranno negli anni successivi oggetto privilegiato delle riflessioni e i punto di partenza delle elaborazioni di Paolo Veronese, Jacopo Bassano, El Greco e soprattutto Jacopo Tintoretto (Valcanover).